Gentile da Foligno

La storia
Gentile nacque a Foligno nella seconda metà del XIII secolo ed ivi morì il 18 giugno 1348. Era un discendente della famiglia dei Gentili, imparentata con il ramo dei conti di Foligno che avevano la rocca tra le frazioni di Carpello e Cancellara. Come si addiceva ai figli di famiglie facoltose, andò a studiare a Bologna, l’Università italiana più prestigiosa dell’epoca. Poco è noto sulla vita di Gentile fino al 1322 ma è certo che praticò la professione medica.
Nel 1322 Gentile era sicuramente a Siena, dove insegnò dal 22 marzo 1322 al 30 giugno 1324: i pagamenti, testimoniati nel Chartularium Studii Senensis, riguardano il periodo fino all’ottobre del 1324 compreso, nonché il trasloco a Siena “librorum et arnesium”.
Nell’ottobre del 1325 fu invitato ad insegnare a Perugia, ma il 23 dicembre non aveva ancora iniziato, tant’è che i Priori (la magistratura comunale che sovrintendeva allo Studio) dovettero inviare un messo a Gentile che si trovava ancora in Foligno. L’incarico presso lo Studio perugino era per due anni; che poi Gentile raggiungesse la sua cattedra è testimoniato anche dal dono di un’abitazione ricevuto dalla città. Intrapreso l’incarico, stando ad alcuni biografi, sembra che la sua permanenza a Perugia si sia interrotta dal 1337 al 1345 perché chiamato da Ubertino da Carrara all’Università di Padova.
È certa la sua presenza a Padova ma probabilmente non così a lungo. Del resto tutti i biografi concordano sulla chiamata di Gentile a Padova intorno al 1340 come medico di Ubertino da Carrara (che governò la città dal 1338 fino alla morte, avvenuta nel 1345). L’ipotesi è sostenuta da alcuni scritti di Gentile: due Consilia ad egritudines uessice destinati allo stesso Ubertino, trascritti nel ms. Vat. lat. 2482, cc. 44-46 e stampati nell’edizione dei Consilia di Gentile concordemente attribuita all’editore Antonio Carcano, Pavia circa 1486, cc. e5va-f1ra (GW, 10618); e un Consilium ad catarrum pectoris per la sorella di Ubertino, presente nello stesso ms. (c. 24rb).

A testimonianza del legame di Gentile con la città e lo Studio, Pier Paolo Vergerio racconta del consiglio dato da Gentile a Ubertino sulla opportunità di elevare il livello scientifico dello Studio patavino inviando e mantenendo a Parigi dodici tra i migliori studenti di medicina, e invitando dodici studenti parigini a Padova. Anche il medico Michele Savonarola testimoniò questo rapporto tra Gentile e Padova nel racconto dell’omaggio tributato a Pietro d’Abano quando, nell’aula dove questi aveva insegnato, Gentile .entrando si inginocchiò, esclamando: “Ave templum sanctum”, e con commozione distaccò dalla parete e ripose in seno alcune carte con autografi del maestro. Gentile ebbe una profonda influenza sulla medicina padovana e, in generale, sullo studio dei farmaci, come dimostrano i suoi rapporti con Niccolò Santasofia, della famiglia di medici padovani, autore di un ricettario conservato nel Pal. lat. 1211 della Bibl. Apost. Vaticana, nel quale è palese l’influenza di Gentile,  il quale, a sua volta, raccolse ricette di Niccolò tra i propri Consilia.

Il 17 aprile 1342 a Perugia pubblicò il suo Tractatus de redactione medicinarum e uno dei suoi famosi Consilia porta la sottoscrizione “Gentilis de Fulgineo, Perusii 1343, iulii”.
Nulla di certo invece si sa del suo ritorno a Foligno. Sicuramente si trovava nella frazione di San Giovanni Profiamma il 14 giugno 1348 perché nella chiesa di questo sobborgo, già sede vescovile, Gentile dettò un codicillo, da apporre al suo testamento, che disponeva la costruzione in mezzo alle sue vigne di una cappella, intitolata poi a Santa Maria Nova. Quel giorno era inoltre attorniato da un folto gruppo di estimatori, tra cui Niccolò Mactioli Gerardoni, giudice di Foligno, e i medici Balduino Lontnautii di Bettona, Francesco di Matteo, Pietro di Giovanni Pagani e Giovanni Lilli.
Il medico folignate aveva infatti contratto il morbo della peste, che imperversava in quegli anni in tutta Europa, per cui si era ritirato in questo piccolo villaggio esattamente due giorni prima (12 giugno). Qui la morte lo colse il 18 giugno.
Gentile fu un docente di prestigio e medico stimato e ricercato...

come testimoniano i Consilia inviati ad eminenti personaggi del tempo: Francesco conte di Urbino, destinatario del Consilium ad dissenteriam; Francesco vescovo di Oleno, in Acaia, destinatario di un Consilium ad cerebri humiditatem; “Francisco de Florentia”, cappellano del Cardinale Giovanni Colonna, al quale fu destinato un Consilium ad passiones oculorum, scritto a Perugia nel Marzo 1341, e un Consilium ad sibilum auris, scritto di nuovo a Perugia nel Maggio 1345; Giovanni da Vico, prefetto della città di Roma, al quale è destinato un Consilium ad egritudines stomaci.

I suoi ben 218 Consilia, ovvero delle trattazioni di un particolare caso clinico con la prescrizione del regime da adottare e dei rimedi farmacologici da seguire, sono la testimonianza più lampante della non comune esperienza clinica di Gentile. È stato sottolineato dal French il contributo di Gentile alla identificazione di una autonoma via medicorum, le cui linee Gentile ritrovava soprattutto nel libro III del Canone di Avicenna, nel quale, a suo parere, c’era tutto il necessario per l’educazione del medico. Esemplare, a questo proposito, è il breve scritto De temporibus partus (Vat. lat. 2470, cc. 209va-210rb, stampato dagli eredi di Ottaviano Scoto all’interno delle Quaestiones et tractatus extravagantes, Venezia 1520, cc. 95 s.) dove, a seguito della richiesta di un parere ricevuta dal giurista Cino da Pistoia circa un caso di dubbia attribuzione di paternità, Gentile affronta la questione della legittimità della prole nata nel matrimonio, allora definita sulla base dell’autorità d’Ippocrate, il quale riteneva perfetto il parto dopo sette mesi, e dunque legittimo il figlio nato dopo almeno sette mesi dal matrimonio. Dopo aver dottamente esposto le dottrine, anche astrologiche, allora conosciute sulla materia (come già nel breve scritto De actione planetaium, Val. lat. 2470, c. 232vab), Gentile esprimeva la convinzione che, allo scopo di stabilire la data del concepimento, fosse opportuno giudicare in base alle condizioni di sviluppo del neonato. In altre parole, Gentile riteneva necessaria quella che oggi chiamiamo “perizia medico-legale”, da condurre non tanto sulla scorta della dottrina delle auctoritates, quanto con il confronto della propria esperienza. Sullo stesso argomento Gentile scrisse un più ampio trattato, Anticipans natus vel partus decem diebus (conservato nel ms. Vat. lat. 2470, cc. 230-232), e la Quaestio an sit licitum provocare aborsum, (c. 240rb-vb dello stesso ms.), dove ugualmente sottolinea l’autonomia del medico, nel considerare che a lui solo spetta valutare l’opportunità dell’intervento, in relazione a rischi eventuali per la salute materna, “cum mater sit corpus vivens completum et de conceptu non sumus certi quid erit”. Troviamo altri Consilia et recepte ad egritudines et dispositiones matricis et prouocationem mestruorum et ad conceptionem nel ms. Vat. Ross. 974 (c. 56), datati 1348; e nel Vat. lat. 2482 (c. 50), datati 1345.
Gentile è noto anche come anatomista...
il Sarton ha ipotizzato che sia stato lui ad operare la prima dissezione pubblica a Padova, nel 1341 (e altre ne seguirono, con il ritrovamento di un calcolo biliare, che Gentile – sempre secondo il Sarton – fu tra i primi a descrivere); Gentile stesso, nel Consilium de peste, asserisce di aver condotto autopsie sulle vittime del morbo. In ogni caso, Gentile era ben consapevole dell’importanza che l’anatomia rivestiva per la formazione del medico: nel commento al libro I del Canone, Gentile accettava di conformarsi alla consuetudine di omettere la lettura dei capitoli relativi all’anatomia generale, ricordando però ai lettori che questo era il “comunem errorem”, perché l’anatomia – come l’alfabeto – avrebbe dovuto costituire il primo insegnamento. Quando poi Gentile affrontò l’anatomia particolare nel libro III del Canone, la collocò correttamente all’inizio di ognuna delle parti del corpo delle quali esaminava le patologie, testimoniando così un progresso proprio di quella autonoma via medicorum, della quale l’esperienza acquisita attraverso l’anatomia non poteva che costituire elemento strutturale.
La fama di Gentile...
rimane legata soprattutto al suo commento ai cinque libri del Canone di Avicenna, la grandiosa opera di sistematizzazione delle dottrine mediche e filosofiche di Ippocrate, Galeno, Dioscoride e Aristotele, che grande fortuna ebbe negli ambienti accademici fino al XVI secolo, in alcune università addirittura fino al XVIII. Il commento di Gentile fu il primo completo, dopo che Taddeo Alderotti, Dino Del Garbo e altri autori italiani e francesi ne avevano affrontato solo alcune parti, e fu considerato l’apparato privilegiato per lo studio del Canone.
Gentile non fu certamente il primo a commentare il massimo esponente della scuola medica araba, ma alla fine la sua opera si impose sulle altre per la grande capacità di uscire dal commento acritico aprendo nuove vie di interpretazione e di giudizio, fatto che gli valse tra i tanti epiteti, come speculator, divinus, medicorum princeps e subtilissimus rimator verborum Avicenna, quello di anima di Avicenna. Questa sua grande qualità è altrettanto espressa nel commento ai Carmina de urinarum iudiciis et de pulsibus di Egidio Corbaliense. Forse più che un commento è un trattato di medicina dove, oltre a concettualizzare la fisiologia e la patologia delle urine, si descrivono in modo affascinante i differenti tipi di urina legati alla calcolosi renale, alle nefropatie e alle malattie extra-renali ed i caratteri della pulsazione cardiaca correlati a vari generi di cardiopatie, indagando il nesso tra il sistema cardiocircolatorio e l’emuntorio renale. Nell’opera l’autore divide il suo intervento sulle opere in metri del magister Egidius in due momenti: quello della Expositio, di natura informativa, dove vengono fornite le etimologie dei nomi, illustrati i casi in modo orientativo e sintetico, (ecc.): segue poi un vero e proprio Commentum, dove Gentile, isolando alcune parole-chiave della poesia prese in esame, ne offre una spiegazione e la mette in relazione con la propria dottrina, accettandola o confutandola. Appare in quest’opera evidente lo spirito innovatore del medico folignate che si esprime in prosa per rendere i suoi trattati meglio comprensibili: circa la patologia renale è il primo a introdurre il termine nefrite. Egli descrive in modo preciso e circostanziato i vari quadri tecnici di molte sindromi renali, esprimendosi riguardo all’insufficienza renale cronica e acuta, che definiva come sicura portatrice di morte: verità valida fino all’avvento della dialisi.
La genialità del suo pensiero sta nella modulazione del valore diagnostico delle urine (in rapporto alla funzione del rene) e delle pulsazioni (come espressione dell’attività del cuore) in una sintesi tra la Scuola Medica Salernitana, che sosteneva il valore preminente dell’esame delle urine, e la medicina classica greca e romana che esaltava l’importanza diagnostica della misura delle pulsazioni. Egli poi si distacca molto dalle antiche teorie ancora vigenti sulla formazione delle urine basate sui processi di “digestione” o “perclorazione” del sangue, ipotizzando le urine come prodotto della filtrazione del sangue attraverso i reni, dotati di particolari pori che ne permettono l’escrezione: un’ipotesi molto vicina all’attuale fisiologia.
La peste a Perugia
La sua memoria è strettamente legata anche alla solidarietà mostrata in periodo di peste durante il quale, mentre tanti se non tutti fuggivano, egli rimase in prima linea fra i malati ed i moribondi, contraendo poi la malattia che dopo pochi giorni lo uccise. Nonostante il retroterra storico dell’ultimo quarto del XIII secolo, fatto di lotte sanguinose, Gentile fu ricordato con grande stima e rispetto sia dai folignati che dai perugini i quali, benché fino ad allora divisi dalla guerra, si trovarono uniti nell’apprezzamento per l’ingegno e la fatica dimostrati da un grande uomo di scienza.
Quando fu colto dalla morte, Gentile aveva appena completato il suo Consilium in epidemia magna dum accidit Perusii,un pregevole opuscolo che aveva iniziato a scrivere nell’aprile di quell’anno quando la peste colpì Perugia, spinto anche dalle richieste di tanti appestati. Appena intrapreso lo studio del morbo, subito si sentì inappagato di quanto poteva leggere nei libri di Galeno e Avicenna che egli, conoscendo sia il latino che l’arabo, aveva ben presenti. Perciò volle conoscere da vicino le cause e gli effetti del morbo visitando i malati ed esaminando le alterazioni prodotte dalla peste sul corpo, ma questa scelta gli fu fatale. La sua morte non fu però vana: dinnanzi all’evidente mancanza di una terapia adeguata, il Maestro folignate distribuì istruzioni preventive sollecitando di evitare l’infezione tramite l’abbandono della città e il ritiro in aperta campagna. Un sunto dei suoi consigli fu riportato ben 150 anni dopo la morte nel De Divina preordinatione vitae et mortis humane di Antonio Bettini, vescovo di Foligno, (opera stampata a Firenze nel 1840).